martedì 1 giugno 2010

Sede del museo Correr



La sede
La raccolta ha sede dal 1922 in Piazza San Marco, negli spazi dell’Ala Napoleonica e di parte delle Procuratie Nuove.
La progettazione e l’inizio della realizzazione dell'Ala Napoleonica, che chiude Piazza San Marco di fronte alla basilica, risalgono agli anni in cui Venezia fa parte di quel Regno d’Italia (1806-1814) di cui Napoleone è il sovrano, viceré il figliastro Eugenio di Beauharnais.
Viene edificata nell’area che precedentemente comprendeva la chiesa di San Geminiano (assai antica ma riedificata a metà Cinquecento da Jacopo Sansovino) e, ai suoi lati, le prosecuzioni delle Procuratie Vecchie e Nuove, cioè delle due lunghissime fabbriche che si affacciano sulla Piazza e che avevano ospitato uffici e residenze di alcune delle maggiori cariche della Repubblica di Venezia.
Il nuovo edificio dovrebbe costituire la sede di rappresentanza dei nuovi sovrani, ma l’impresa - più complicata del previsto- avrà termine solo a metà Ottocento; ospita quindi, sotto la dominazione austriaca, anche la Corte Asburgica nelle frequenti visite a Venezia e le rappresentanze politiche, militari e diplomatiche del Lombardo-Veneto di cui Venezia, assieme a Milano, è all'epoca la capitale.
L'Ala Napoleonica, con la doppia facciata monumentale, il suggestivo portico - dov'è oggi l'entrata del Museo -, l'arioso Scalone, la ricca Sala da Ballo, viene progettata dagli architetti G. A. Antolini, Giuseppe Soli e Lorenzo Santi. Quest'ultimo nel terzo decennio dell'Ottocento sistema e ordina tutto il complesso del Palazzo Reale che si espandeva anche lungo le Procuratie Nuove, fino alla Libreria Marciana, a parte dell’edificio della Zecca, al Giardinetto Reale.
Il pittore veneziano Giuseppe Borsato imposta il decoro degli ambienti secondo una personale e attenta rilettura dello stile Impero, sotto l'influenza degli architetti e arredatori francesi Percier e Fontaine e dello stile Biedermeier, che all’epoca si va imponendo nelle principali corti europee.
L'affresco a soffitto sullo Scalone d'ingresso che raffigura la Gloria di Nettuno è di Sebastiano Santi (1837-1838).
L’edificio conserva quindi ancora molti dei tratti distintivi dell’età di Bonaparte e di quella, subito successiva, degli Asburgo: architettura e decorazioni affreschi e arredo di gusto neoclassico danno una testimonianza importante della cultura e dei linguaggi di un’epoca. Soprattutto, però, essa attesta, quasi in contrapposizione con l’antico Palazzo dei Dogi, la volontà di rifondare una nuova stagione della storia di Venezia, emblematicamente rappresentata da questa moderna reggia di re e imperatori.Le Sale Neoclassiche e Antonio CanovaSalendo lungo il sontuoso scalone si accede innanzitutto all’Ala napoleonica del Museo Correr.Si entra nell’elegante antisala, che ospita l’area di accoglienza del museo e che un recente restauro ha riportato a tutto lo splendore degli ornati neoclassici. Da qui si passa alla galleria o loggia napoleonica.Per il decoro e l’arredo questa prima parte del Museo è una testimonianza assai significativa dell’arte neoclassica, attenta alle raffinatezze del gusto francese ma fedele alle tradizioni dell’arte italiana.Il Salone da BalloQuesto ambiente sontuoso e ricco, quasi fiabesco, unico per ampiezza e raffinatezza del decoro in stile Impero, venne progettato da Lorenzo Santi e decorato da Giuseppe Borsato. I lati brevi della sala sono conclusi da logge concepite per accogliere l’orchestra.Al centro del soffitto l’affresco con La Pace circondata da Virtù e Geni dell'Olimpo allude alla restaurazione asburgica dopo le vicende napoleoniche.In fondo alla sala, due sculture in pietra di Vicenza di Antonio Canova raffigurano Orfeo ed Euridice, che denotano la sensibilità del giovanissimo artista legata ancora al gusto tardo barocco.

Le sale del museo

Galleria o Loggia napoleonica
Questa galleria o loggia napoleonica, caratterizzata dalle ampie finestre su Piazza San Marco, è ricca di decorazioni d’ispirazione antiquaria a grottesche e a motivi pompeiani. Lungo tutta la galleria, si trovano esposti a parete importanti gessi di Antonio Canova: un Autoritratto, calco antico della scultura eseguita dall’artista nel 1812 e conservata a Possagno; i bassorilievi - mai tradotti in marmo - con scene dai poemi omerici, dall’Eneide di Virgilio, dal Fedone di Platone - databili tra il 1787 e il 1792 - e figurazioni allegoriche. Opere giovanili dell’artista sono i due Cesti di frutta, già di proprietà della famiglia Farsetti, mentre il tema della bellezza e dell’amore, quello per cui l’opera di Canova è più nota e imitata, è qui rappresentato dai calchi in gesso delle due Erme di Saffo e della Vestale Tuccia. Nel piccolo corridoio sono conservati anche i modelli realizzati dall’artista per due monumenti funerari: quello a Tiziano, idea successivamente utilizzata dallo scultore per il monumento a Maria Cristina d’Austria a Vienna e adottato, dopo la morte di Canova, per il suo cenotafio nella chiesa dei Frari a Venezia e quello con parti in cera, mai realizzato, per il Monumento a Francesco Pesaro, Procuratore di San Marco e ultimo bibliotecario della Repubbica.

Sala del Trono
La decorazione della sala è opera di vari artisti: a Giuseppe Borsato si deve la decorazione d’ornato, a Giambattista Canal spettano le lunette a fondo oro con scene mitologiche (1811 ca.), mentre gli affreschi alle pareti, staccati e montati su pannelli, sono resti della decorazione neoclassica che ornava gran parte della Reggia. Le due sovrapporte e le due grandi decorazioni verticali con Danzatrici e scene mitologiche, sono raffinate opere giovanili del veneziano Francesco Hayez (1817), direttore a Brera dal 1850, destinato a immensa fortuna nella pittura storica e nel ritratto.Accanto agli affreschi e ai mobili neoclassici, a dominare qui è ancora la figura di Antonio Canova, con un Amorino alato, calco in gesso del marmo scolpito per il principe russo Jusupov tra il 1793 e il 1797 e, soprattutto, con il celebre gruppo di Dedalo ed Icaro (1778-79), capolavoro della giovinezza dell’artista, proveniente da Palazzo Pisani. Le due figure, scolpite in marmo dal Canova poco più che ventenne, sembrano raccogliere, con straordinaria genialità d’invenzione, suggestioni antiquarie dal mondo classico miste a un naturalismo spinto e maturo: il padre col volto contratto sta fissando le ali, formate da penne tenute insieme con la cera, alle braccia del ragazzo che lo asseconda con fiducia, pregustando la gioia del volo.

Sala da Pranzo
In questa, che era la sala da pranzo della Reggia, è conservata integralmente l’originaria decorazione neoclassica.L’affresco a soffitto raffigurante L’Olimpo, è opera di Giovanni Carlo Bevilacqua; alle pareti tra monocromi grigi su fondo oro, piccoli tondi con i Mesi dell’anno e i Segni zodiacali; nella fascia inferiore, tondi con Vedute delle capitali del Lombardo-Veneto. Il ricco e raffinato mobilio originale proviene in gran parte dalla Reggia di Maria Luisa d’Austria a Parma. Il tavolo è opera francese del XIX secolo con i bronzi di Feuchères; sul piano, scene allegoriche e mitologiche con al centro il Giudizio di Paride.A cavalletto, due opere da sempre attribuite ad Antonio Canova pittore: il raffinato, incompiuto Ritratto di Amedeo Svajer, noto antiquario veneziano, dipinto che risente dell’influsso della ritrattistica inglese e tra le finestre è un calco in gesso della Venere Italica, sempre di Canova, conservata alla Galleria Palatina di Firenze.Nelle vetrine sono esposti alcuni bozzetti in creta (fra cui Ettore ) che documentano come Canova fissava, con sorprendenti rapidità e animazione, le prime intuizioni delle opere che lo avrebbero reso famoso in tutto il mondo.

Civiltà Veneziana
Concluso il percorso neoclassico, il primo piano del museo propone, lungo venti sale, un interessante itinerario alla scoperta della storia e della civiltà della Repubblica di Venezia, organizzato per temi: il doge, il mare, le armi, la vita quotidiana, i mestieri, le feste, i giochi della città.

Sala dei dossali
Il DogeQuesta sala e quella successiva sono dedicate alla figura del Doge, simbolo e incarnazione dello Stato veneziano e, al tempo stesso, "primus inter pares" fra le magistrature con responsabilità di governo. I dipinti alle pareti rievocano antiche leggende e documentano suggestive feste in città: uno dei più antichi miti legati alla fondazione di Venezia è, ad esempio, la Leggenda del Pescatore che riconsegna al Doge l'anello avuto da San Marco durante un fortunale in mare, raffigurato da un olio di Gian Antonio Guardi, copia dell'originale di Paris Bordone oggi alle Gallerie dell'Accademia di Venezia. Sopra i dossali seicenteschi, due grandi teleri di gusto manierista ricostruiscono momenti suggestivi di grandiose feste, organizzate in occasione di particolari avvenimenti: Lo sbarco a S. Marco della dogaressa Morosina Morosini Grimani (1597 - 1606) di Andrea Michieli detto il Vicentino (1544 ca. – 1619 ca.), La partenza del Bucintoro da S. Nicolò del Lido il giorno dell'Ascensione di Girolamo Pilotti (1579 ca. - 1639).A cavalletto, a destra della vetrina, di Lazzaro Bastiani (1425 ca.-1512), è il celebre ritratto di Francesco Foscari, grande "doge guerriero" attivamente impegnato nell'espansione militare terrestre oltre che marittima di Venezia. Opposto, sempre a cavalletto, un'altra opera del Bastiani, I dogi Antonio Venier e Michele Steno (1577). Nelle vetrine a parete sono esposti oggetti di epoche diverse legati alla figura del Doge, tra cui un rarissimo Corno dogale quattrocentesco; l'Urna cinquecentesca in legno dorato, il Cappello in paglia offerto ogni anno al Doge nella chiesa di S. Maria Formosa e il Canestro in paglia che le monache di S. Zaccaria donavano al Doge il giorno di Pasqua. Il Frammento di arazzo con ritratto dogale è parte del paliotto che veniva donato dopo l'elezione dal Doge alla Basilica di S. Marco. Sulla parete centrale, sopra le vetrine, si trovano due grandi tele di Giovanni da Asola (1512 -1531) raffiguranti San Benedetto con due monaci.

Le Magistrature
In queste sale sono esposti alle pareti i ritratti di alcune personalità della nobiltà veneziana nelle vesti tradizionali e rituali delle più alte magistrature della Repubblica. Tra questi i Senatori e i Procuratori di S. Marco - con stola di velluto controtagliato sulla spalla - seconda carica pubblica dopo il Doge. L'austera signorilità, l'eleganza sobria ma solenne di queste vesti ufficiali ben assolvono alla funzione di sottolineare la dignità e il decoro delle cariche di governo e il carattere di servizio prestato alla collettività nell'assolvere con onore agli incarichi pubblici. Si segnala il severo Ritratto del Bailo Giovanni Emo attribuito a Pietro Uberti (1671 - 1726). Il bailo, l'ambasciatore veneziano a Costantinopoli, veniva eletto dal Senato ed aveva una posizione di grande potere in quanto era governatore locale, funzionario commerciale e doveva tenere i contatti con il potere politico locale. Segue il Ritratto di Vincenzo Querini di Bartolomeo Nazzari (1699 - 1750).

Venezia e il Mare
La naturale vocazione al mare e la fortunata posizione geografica tra Oriente e Occidente consentirono a Venezia di raggiungere nell’Adriatico e nel Mediterraneo Orientale una posizione di egemonia, conquistata con l’abilità nel commercio e difesa con la forza delle armi.Nella flotta la chiave del successo: rapida e ben organizzata in una strategica rete di capisaldi a terra sui percorsi delle rotte abituali, segnava con la propria presenza l’espansione militare della Serenissima (Stato da Mar) e proteggeva la penetrazione economica della marina mercantile in un vasto e continuo pattugliamento delle acque.Nelle galere lo strumento delle vittorie: armate con remi e vela latina, erano in grado di attraversare tutto l’Adriatico in pochi giorni; imbarcavano leggere ma estremamente efficaci bocche da fuoco, e a prua un temutissimo rostro. L’equipaggio, che contava fino a 150 uomini, era reclutato e assoldato nei domini della Repubblica e, in casi estremi, anche tra i reclusi delle prigioni (Galeotti), in cambio dell’abolizione della pena. Fino a quando la supremazia tra le potenze marinare europee coincise con l’egemonia sul Mediterraneo, le galere veneziane furono temute protagoniste del Mare. Cedettero la loro posizione solo dopo lo sviluppo delle marinerie e delle potenze atlantiche e nello scontro logorante contro l’espansione dell’Impero Ottomano.La sala espone modelli di galere, strumenti originali di navigazione e della vita di bordo e, sulle pareti, dipinti evocativi di grandi battaglie navali veneziane contro i Turchi.
Al centro della sala due modelli di galera e strumenti originali di navigazione e della vita di bordo.I due dipinti nella parete di fondo raffiguranti Scontri navali presso le isole Curzolari, ricordano un episodio della battaglia di Lepanto (1571), combattuta contro i Turchi per il dominio dell’Isola di Cipro e del Mediterraneo, dalla flotta veneziana unita a quella pontificia di Pio V e a quella spagnola di Filippo II. Celebrata come una grande vittoria della cristianità, segnò in effetti l’inizio del lento ma inarrestabile declino della potenza veneziana: solo due anni dopo, la pace firmata nel 1573 tra la Serenissima e i Turchi concesse a questi ultimi Cipro in cambio della ripresa dei commerci tra Venezia e il Levante. Nelle due pareti laterali due grandi quadri del XVII secolo, con Schieramenti delle flotte veneziane e turche. Sulla parete di sinistra è illustrata la battaglia nel canale di Metelino (Mitilìni, Lesvos) dell’8 settembre 1690, fra i vascelli veneti (Dolfin) e la flotta ottomana, con la nave di Dolfin, Redentore, attaccata dalle galere turche. La parete di destra ospita, invece, la battaglia del 20 settembre 1698 nelle acque di Metelino, fra i vascelli veneti (Dolfin) e quelli ottomani (Mezzomorto), con la nave Aquila mentre muove in soccorso della nave Rizzo d’Oro di Dolfin, immobilizzata e circondata dai nemici.Il ritratto seicentesco sulla parete sinistra, infine, si riferisce a Jacopo da Riva, Capitano da Mar della flotta veneziana, che sostenne l’ennesimo scontro contro i Turchi presso i Dardanelli (1646).

L'Arsenale
La sala è dedicata all'Arsenale, il vastissimo complesso di cantieri e di bacini direttamente e industrialmente gestito dallo Stato sia per la costruzione e il mantenimento della flotta bellica, come di gran parte di quella commerciale.La pianta acquarellata dell'Arsenale, opera seicentesca di Antonio di Natale, è un raro esempio di "veduta" dell'area cantieristica veneziana, solitamente protetta da assoluta riservatezza e da segreto militare.Curiose le due incisioni con vedute della porta dell’Arsenale di Michele Marieschi (1740) e di Giacomo Franco (1596) dove si vede l’uscita degli arsenalotti dal luogo di lavoro.I dipinti raffiguranti l'Arte dei marangoni (falegnami) e l'Arte dei calafati sono le insegne delle più importanti maestranze che, organizzate in corporazioni, lavoravano all'interno dell'Arsenale.Di Alessandro Longhi (1733-1813) è il bel ritratto di Angelo Memmo IV in veste di Capitano da Mar, la più alta carica della flotta militare veneziana.Nelle vetrine, modelli lignei per la costruzione delle navi e rari originali strumenti per la navigazione.
Sotto l’ala del leone di San Marco - è qui esposto l’imponente leone marciano in legno (sec. XVII)proveniente da una delle cantorie della Basilica di San Marco - la Città si è espansa con uno sviluppo ininterrotto dai primi nuclei urbani di Rialto verso le aree perimetrali ai limiti della laguna, mantenendo sempre un’attenzione rigorosa ed efficiente alla sua salvaguardia e punendo con straordinario vigore ogni abuso. E appunto lo sviluppo urbanistico di Venezia in diversi periodi è qui documentato attraverso piante e vedute.Poche città dispongono infatti di un repertorio cartografico come quello veneziano, che si sviluppa con ricchezza e coerenza nell’arco di cinque secoli.Capolavoro assoluto della cartografia veneziana è la celebre Veduta di Venezia a volo d’uccello di Jacopo de’ Barbari (1470?- ante 1516) datata MD. Sulla parete di destra ne è l’esemplare appartenuto a Teodoro Correr. Di quest’opera straordinaria, realizzata su sei fogli, sono esposte, al secondo piano, le matrici originali in legno e un’ulteriore stampa.La xilografia qui presente è il primo stato della veduta, in cui il campanile di San Marco – danneggiato nel 1489 da un fulmine - ha ancora una copertura provvisoria in tegole.Venezia, ritratta da un punto d’osservazione molto alto, “a volo d’uccello”, è ripresa da sud con in primo piano una parte dellaGiudecca e l’isola di San Giorgio. Sullo sfondo, oltre alle isole della laguna settentrionale, il profilo delle prealpi con SERAVAL a indicare il passo che conduceva al nord.Dal tessuto urbano emergono le architetture più fortemente rappresentative - l’area marciana centro del potere politico della città, le basiliche dei Frari e dei SS. Giovanni e Paolo, le facciate dei palazzi in Canal Grande, l’Arsenale - ma insieme appaiono, riprodotti meticolosamente in tutta la città, numerosissimi dettagli che ne fanno un documento di estrema rilevanza per la conoscenza dell’impianto urbano e l’unica testimonianza visiva della Venezia cinquecentesca nella sua interezza.La presenza inoltre di Mercurio e di Nettuno, la grande quantità di navi in bacino e il brulicare di barche in Canal Grande, sottolineano un intento celebrativo dell’opera.Nella parete di fronte, la veduta di Gian Battista Arzenti (attivo tra il 1590 e il 1625) e la pianta prospettica di Joseph Heintz il Giovane (1600 ca - post 1678) della metà del secolo.A fianco del de’ Barbari, è invece il curioso dipinto settecentesco con I Natali di Venezia, in una ricostruzione fantastica: l’articolata raffigurazione della città in pianta - in cui ciascun punto notevole è contrassegnato da un numero - è accompagnata, nella fascia inferiore,da tre ordini di personaggi - anch’essi contrassegnati - e da una legenda descrittiva.Sia questi dipinti che la pianta a stampa consentono di valutare le trasformazioni subite dalla città per forma ed estensione in diversi secoli della sua storia e di apprezzare altresì come essa sia giunta a noi in termini sostanzialmente integri, nonostante il continuo lavorio di assestamento e di aggiornamento architettonico ed urbanistico, certoinfittitosi nell’Otto e nel Novecento con le grandi opere di interramento di ampie zone paludose nelle aree periferiche della città e la costruzionedel ponte translagunare.Al centro della sala due globi, celeste e terrestre, pezzi rari della vastaproduzione del cartografo veneziano Vincenzo Coronelli (1650-1718)frate francescano, cosmografo ufficiale della Repubblica di Venezia, che visse e operò nel convento dei Frari.

L’Armeria Correr
Prima sala:
Inizia in questa sala la sezione dedicata alla Venezia in guerra, alle sue imprese e alla sua potenza militare, con la raccolta di armi italiane ed europee provenienti dal ricco fondo Correr.Sono esposte armature dei secoli XVI e XVII e armi bianche, da botta e da taglio, dei secoli XIV, XV, XVI.Fra le armature, notevole quella da nave con corazza incisa e la mezza armatura da uomo d'arme alla “massimiliana” con punzone di Norinberga; interessante, invece, per quanto riguarda l'organizzazione militare del territorio veneto di Terraferma, l'armatura da munizione seicentesca con la scritta TER. VIC.NO (Territorio Vicentino).Fra le armi da taglio, esposte nelle vetrine, pregevolissima la guarnitura da caccia formata da tre coltelli e astuccio recante lo stemma di Boemia, con il punzone (una freccia d'oro incastonata nella lama) di Hans Sumersperger (attivo 1492-1498), armaiolo di Massimiliano I° d'Asburgo. Notevoli anche le due cinquedee cinquecentesche (stelo a lama triangolare) con stemma Morosini e Loredan. Curiosa la chiave in ferro del XVI secolo che nasconde un meccanismo atto a scagliare dardi, probabilmente avvelenati.Fra le armi da botta, particolarmente interessante il martello d'arme con lo stemma dei Carraresi di Padova databile al 1380 circa.
Seconda sala:
Continua in questa sala l’esposizione dell’Armeria Correr. Alle pareti sono collocati alcuni falcioni da parata di fabbrica veneziana del tardo Cinquecento.Nella vetrina sono conservati rari esemplari di armi da fuoco, corte e lunghe, europee e turche.Notevole la coppia di pistole bresciane a ruota autocaricantesi databili al 1640 circa e la piccola pistola bresciana, di squisita fattura, con canna firmata LAZARINO COMINAZO, databile al 1670 circa.Molto interessante, dal punto di vista tecnico, un archibugio a vento (ad aria compressa) del XVI secolo, con lo stantuffo di carica celato nel calcio, dove il meccanismo a ruota ha solo funzione decorativa.Da notare anche la pistola a ruota interna di fabbricazione tedesca (fine XVI sec.) con decorazioni in osso inciso con scene di caccia, animali e motivi floreali.A terra, una macchina a dodici bocche da fuoco, detta organo, del XVII secolo.

Il Bucintoro
Il Bucintoro è la mitica nave su cui il Doge e la Signoria si recavano ogni anno all'Ascensione nel porto del Lido per celebrare il singolare rito dello sposalizio tra Venezia ed il Mare.Si fabbricarono, sin dai tempi più antichi, vari esemplari del Bucintoro. L’ultimo fu realizzato tra il 1722 e il 1728, sotto la direzione dell'ingegnere navale Michele Stefano Conti. Misurava 35 metri di lunghezza e 7 di larghezza ed era mosso da 168 rematori.Nel 1797 il Bucintoro, privato dell'apparato decorativo, fu armato di cannoni e destinato alla difesa della laguna. Successivamente venne trasformato in carcere galleggiante e infine demolito nel 1824.La sala documenta lo splendore di questa imbarcazione, attraverso incisioni, dipinti e alcuni notevoli Frammenti in legno doratodell'apparato decorativo dell’ultimo Bucintoro, opera di Antonio Corradini (1729) e della sua bottega.Segue il dipinto l'Imbarco sul Bucintoro della Dogaressa Morosina Morosini Grimani (pittore veneto del sec. XVII) al suo palazzo sul Canal Grande a S.Luca; si noti sulla parete destra del dipinto il "teatro del mondo", padiglione galleggiante utilizzato per le festeUn busto in terracotta dipinta, infine, raffigura l'Ammiraglio Francesco Duodo, opera di Alessandro Vittoria (1525-1608).

Le Feste
Le grandi scene di vita veneziana, esposte a parete, sono dovute al pittore tedesco, ma attivo in Venezia alla metà del Seicento, Joseph Heinz il Giovane. Si tratta di eventi festosi, occasioni di cerimonia in differenti scenari urbani resi dal’artista con grande vivacità e partecipazione.L'ingresso del Patriarca Federico Corner a S. Pietro di Castello avviene tra miriadi di gondole e di lussuose "bissone", le tradizionali barche "da parada" veneziane. La Chiesa di S. Pietro, nel sestiere di Castello, è stata sede della cattedra patriarcale fino al tempo di Napoleone allorché la Basilica di S. Marco subentrò in tale funzione e la stessa abitazione del Patriarca di Venezia si trasferì nel nuovo Palazzo Patriarcale nella Piazzetta dei Leoncini.Il “fresco” nel canale di Murano è il tradizionale corso di barche addobbate che si teneva nel giorno dell'Ascensione. Sullo sfondo del dipinto si notano l'Abbazia di S.Cipríano (a destra) e la chiesa di S.Stefano (al centro), demolite nell’'Ottocento. La caccia ai tori in campo San Polo presenta un divertimento popolare che si teneva in vari campi della Città durante il periodo di Carnevale. I tori venivano lasciati liberi tra la gente o tenuti per le corna da robuste funi mentre cani mastini, appositamente addestrati, vi si avventavano contro mordendo loro le orecchie. Le bestie alla fine, esauste e sanguinanti, venivano decapitate con un enorme spadone impugnato a due mani. La stessa festa veniva offerta dai becheri (macellai) al Doge, alla sua famiglia e ai dignitari l'ultima domenica di Carnevale nel cortile di Palazzo Ducale.

Arti e Mestieri
Quattro salette sono dedicate alle Arti veneziane, corporazioni di mestiere alle quali bisognava necessariamente essere iscritti per esercitare qualsiasi tipo di attività artigianale e commerciale.Queste consorterie, nate durante il Medioevo, a Venezia rimasero in vita fino alla caduta della Repubblica. Ognuna di esse aveva un regolamento interno con norme precise, le “mariègole” ed era soggetta allo stretto controllo statale attraverso la magistratura della Giustizia Vecchia, con sede nel Palazzo dei Camerlènghi, a Rialto. Le insegne che si trovano in questa sala provengono proprio da questo palazzo e servivano probabilmente da segnale per appendere gli avvisi riguardanti norme, tasse, ed altre comunicazioni relative a ciascuna corporazione. Quelle su tavola, più antiche (XVI°-XVII° secolo) mantengono una certa uniformità compositiva: nella parte superiore gli stemmi dei magistrati della Giustizia Vecchia, in quella inferiore una raffigurazione inerente l'attività dell'arte; quelle su tela sono tutte settecentesche e rivelano più ampia libertà di rappresentazione.Nelle vetrine sono esposti vari oggetti, esempi della produzione artigianale veneziana, tra cui curiose calzature da donna prodotte dai caleghèri, molto alti per non sporcarsi sulle strade fangose; bello anche il portaparrucche in legno dipinto, dell’arte dei Petteneri (parrucchieri).Due salette sono dedicate in particolare all’arte dei Dipintori, con preziosi e rari Cuoridoro, grandi pannelli di cuoio impresso e dipinto, usati per arredo e tappezzeria. Nella successiva dedicata all’arte dei Tajapiera, gli scultori, pregiati esempi di stemmi familiari in pietra d’Istria, leoni in “moleca”, l’urna per le denunce segrete e l’Altarolo del Traghetto della Maddalena, d’arte lombardesca.

Giochi e intrattenimenti di Società
Le ultime sale di questo percorso sono dedicate ai giochi, sia a quelli popolari che si praticavano all'aperto, generalmente durante il Carnevale (raffigurati in dipinti), sia a quelli nobiliari che si svolgevano al chiuso nei "Ridotti", vere e proprie case da gioco, ritrovi dell'aristocrazia veneziana, di cui le vetrine espongono interessanti “strumenti”.Prova di equilibrio e agilità si dimostrava in quegli esercizi chiamati Forze d'Ercole, con alte piramidi di uomini che si alzavano sopra un tavolato montato su panche, se il gioco veniva fatto a terra, o su barche piatte (peate), se veniva fatto sull'acqua.Coraggio e forza fisica esprimevano le fazioni rivali delle due contrade cittadine dei Castellani (abitanti di Castello, San Marco, Dorsoduro) e dei Nicolotti (abitanti di San Polo, Cannaregio, Santa Croce) che si affrontavano sopra i ponti nella Guerra dei pugni.Nelle vetrine sono esposti alcuni giochi, la maggior parte d'azzardo, praticati soprattutto dai nobili: oltre ai numerosi giochi di carte e di dadi, molto diffusi erano il Biribissi, la cui struttura sarà successivamente assimilata alla Roulette, lo Sbaraglino (oggi conosciuto con il nome inglese di Backgammon) e il Gioco Reale, a estrazione, assai diffuso nel XVIII secolo in città, fino all’interessante serie di mazzi di carte a cui spesso si affidava il compito di insegnare la storia, la geografia, l'araldica o la Bibbia.Alle pareti si trovano dipinti raffiguranti i vincitori delle regate.

Bronzetti Rinascimentali
Il bronzetto é un genere d’arte a sè stante e autonomo rispetto al bronzo di grandi dimensioni, caratterizzato da grande attenzione al modellato e alla resa delle superfici, oltre che dall’ampio uso di lacche e patine.I bronzetti ebbero grande diffusione e fortuna in epoca rinascimentale: molti artisti ne alternarono la creazione con quella di bronzi monumentali e Padova e Venezia divennero i centri in cui questa nuova attività artistica si sviluppò maggiormente.
I bronzetti nell'Italia settentrionale tra la fine del XV e gli inizi del XVI secolo: Venezia e PadovaNella sala 19 la produzione veneziana rinascimentale è esemplificata nella Venere diademata e nel Busto di donna, ispirati ad un gusto classicistico colto e raffinato. Maggiore fu però l'importanza di Padova per la storia del bronzetto, riconducibile alla presenza nel centro veneto di Donatello, il cui allievo, Bartolomeo Bellano (1434 c.-1496/97), è autore del Davide qui esposto.I maggiori risultati vennero conseguiti da Andrea Briosco detto il Riccio (1470/75-1532), la cui produzione in questo campo è assai vasta e i cui soggetti sono legati a un mondo particolarissimo, umano e animale, umano e mitologico. Nell’orbita del Riccio rientrano anche i bronzetti di Severo da Ravenna, attivo in Padova nel primo ’500, la cui produzione di gusto naturalistico e grottesco è rappresentata soprattutto da draghi e da altre figure di animali fantastici. Vivaci sono inoltre i bronzetti ottenuti con il calco dal vero di animali, come le Lucertole in lotta .

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